Terra d’ombra

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Di Georg Buchner, scrittore tedesco morto prematuramente nel 1837 a soli 24 anni, ci si ricorda purtroppo per l’incompletezza delle sue opere importanti: l’una è il Woyzeck (dramma teatrale portato al successo quasi un secolo dopo da AlbanBerg). l’altra è il Lenz, un racconto composto da frammenti ricavati dall’altrettanto assurda esistenza dello scrittore citato (sovrastato dalla schizofrenia), legato al periodo classicista e allo sturm und drag. Lenz testimonia il viaggio che lo scrittore compie per giungere in Alsazia, nonché le vicissitudini psicologicamente sfasate della sua incresciosa permanenza, che si presumeva a scopo curativo. Del testo di Buchner si è innamorato Alessandro Ragazzo, un musicista di Venezia, che con molto acume, ha preso spunto dalla storia di Lenz e del suo pathos, per innestare la sua passione per il fieldrecordings e la manipolazione elettronica.

Terra d’ombra è dunque una sorta di elaborazione del viaggio dove la ricostruzione musicale e la perniciosità della condizione esistenziale sono temi inscindibili, dove lo spunto del Lenz è necessità di individuare un percorso filosofico, che abbraccia relazioni non immediatamente visibili tra follia, esistenzialismo ed ecologia dei suoni. Ragazzo è intervenuto parecchio sul fieldrecording iniziale, prendendosi la responsabilità di inserire contrasti di varia natura (da spigolosi turbini elettrici a subliminali ed irregolari droni), che compaiono dal nulla della struttura con tutta la loro sfacciataggine sonora. Si propone, così, una psicosi da Anti-Edipo così come illustrata nelle teorie di Deleuze e Guattari, sottolineando che la vera follia si trova nell’impianto sociale: la realtà di Ragazzo seleziona l’avversione, lascia molto presto il terreno delle normali sensazioni per immetterci in quella che chiama “perdita dell’io”, un’avventura che si perde nel puntellamento, nella dentatura di suoni e rumori che sicuramente vanno oltre una semplice rappresentazione di un racconto e sono il libero sfogo di un pensiero oscurantista.” Ettore Garzia, Percorsi Musicali, 2017.

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